skariko

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Una mano di 2000 anni fa (archeology.dalatcamping.net)
 

Ho scoperto questa bellissimo reperto storico ritrovato nell'antica città di Cherchell, in Algeria.

È l'impronta di una mano umana risalente a oltre due millenni fa.

Traduzione di una parte dell'articolo Uncovering the Mysteries of Time: The 2,000-Year-Old Handprint in Cherchell, Algeria

È stato durante uno scavo di routine nella storica città di Cherchell, situata lungo la costa algerina, che gli archeologi si sono imbattuti in una scoperta davvero notevole. Tra gli strati di antiche rovine, hanno scoperto un mattone romano che si è subito distinto dagli altri: sulla sua superficie era incisa l'impronta inconfondibile di una mano umana.

L'impronta della mano, che sembra essere stata fatta da un uomo romano di grandi dimensioni, era chiaramente visibile, con le singole dita e persino la struttura della pelle del palmo chiaramente distinguibili. Era come se l'operaio che aveva posato questo mattone avesse premuto la mano nell'argilla umida, lasciando dietro di sé una traccia tangibile della sua presenza che le generazioni future potranno scoprire.

La città di Cherchell, conosciuta nell'antichità come Caesarea Mauretaniae, era un vivace insediamento romano che ha avuto un ruolo significativo nella storia del Nord Africa. Fondata nel III secolo a.C., fu la capitale del regno berbero di Mauretania e successivamente divenne un'importante colonia romana, attirando coloni da tutto l'impero.

Durante l'epoca romana, Cherchell era un centro di attività commerciali e culturali, con un'architettura imponente, mercati vivaci e una popolazione variegata. La posizione strategica della città lungo la costa mediterranea la rese un porto commerciale di vitale importanza e divenne nota per la produzione di vari beni, tra cui ceramiche, oggetti in vetro e prodotti agricoli.

La scoperta del mattone con impronta a mano offre una finestra unica sulla vita quotidiana degli individui che abitavano questa antica città. Offre uno sguardo raro sul funzionamento dell'industria edilizia romana e sulle persone che erano responsabili di plasmare l'ambiente costruito di Cherchell.

Gli archeologi e gli storici hanno studiato il mattone con l'impronta della mano e sono riusciti a trarre preziose indicazioni sull'individuo che ha lasciato questa straordinaria impronta. Attraverso un attento esame delle impronte digitali e della consistenza della pelle, i ricercatori hanno stabilito che l'impronta della mano è stata probabilmente realizzata da un uomo adulto e di grandi dimensioni, potenzialmente un operaio specializzato o un artigiano coinvolto nella costruzione o nella produzione di mattoni in epoca romana.

Il livello di dettaglio conservato nell'impronta della mano è davvero notevole e consente ai ricercatori di immaginare l'individuo che ha premuto la mano nell'argilla umida tanto tempo fa. Possono immaginare i calli e le linee del suo palmo, la forma e la lunghezza delle sue dita e persino i modelli unici delle sue impronte digitali, tutti elementi che forniscono indizi sulla sua identità e sul lavoro che svolgeva.

Inoltre, la posizione dell'impronta della mano, che si trova sulla superficie del mattone, suggerisce che l'individuo che l'ha realizzata era probabilmente coinvolto nelle fasi finali del processo di fabbricazione del mattone, quando l'argilla era ancora malleabile e pronta per essere cotta nel forno. Ciò fornisce informazioni preziose sulle tecniche di produzione e sulle pratiche di lavoro impiegate dai produttori di mattoni romani in questo periodo.

È possibile vedere l'immagine ad alta risoluzione nell'articolo e anche in questo post su Twitter (Nitter)

 

Il libro è visualizzabile digitalmente a questo indirizzo.

Da Geopop

Uno dei più celebri testi non decifrati è il codice di Voynich, un manoscritto del al XV secolo e oggi conservato a Yale, del quale ignoriamo la lingua, il contenuto, l'autore e il significato delle immagini. Cosa potrebbe contenere questo libro misterioso?

Il manoscritto di Voynich è un codice di pergamena del Quattrocento, composto da 116 fogli riccamente illustrati, che nessuno ha mai decifrato. Deve il suo nome a Winfried Voynich, un antiquario e collezionista di origini polacche, che nel 1912 lo acquistò da un collegio di gesuiti in provincia di Roma. Oggi il manoscritto di Voynich si trova all’Università di Yale, negli Stati Uniti. Dal ritrovamento nel 1912 sono state avanzate numerose ipotesi sulla lingua e sul contenuto del manoscritto. È stato ipotizzato che potesse essere stato composto per ragioni di spionaggio, che fosse scritto in una lingua artificiale, che fosse un falso realizzato per ragioni economiche. Nessuna ipotesi è stata mai provata e il manoscritto è ancora incomprensibile.

Cos’è il codice di Voynich

Il manoscritto Voynich è un codice (cioè un libro manoscritto) illustrato, scritto su pergamena. Dalla datazione al radiocarbonio, sappiamo che risale al periodo 1404-1438. Il codice era originariamente composto da 116 fogli di dimensioni 16 x 22 cm, ma quattordici pagine sono andate perdute. Complessivamente, il manoscritto contiene circa 170.000 caratteri, equivalenti a un libro di 80-100 pagine di oggi.

Il manoscritto è privo del titolo e dell’indicazione dell’autore. La lingua e l’alfabeto con il quale è scritto sono sconosciuti e anche le numerose illustrazioni che corredano il testo sono in parte incomprensibili. Tuttavia, sulla base delle illustrazioni, il libro si può dividere in quattro sezioni:

  • Botanica (fogli 1-66), con immagini di piante sconosciute;
  • Astronomica o astrologica (fogli 67-73), con illustrazioni che sembrano raffigurare stelle;
  • Biologica (fogli 75-86), con immagini femminili, molte delle quali immerse in una sorta di vasche;
  • Farmacologica (fogli 87-116), con illustrazioni di ampolle e piccole piante, probabilmente usate per creare medicinali.

Oltre a questa suddivisione, ne sono state proposte anche altre, ma i tentativi di collegare le immagini al testo sono andati a vuoto.

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Da amante di Rapa Nui, dove spero di riuscire a tornarci prima o poi, trovo sempre affascinanti le teorie intorno a questa civilità.

Sempre più ricerche smentiscono l’ipotesi di un collasso causato dallo uno sviluppo eccessivo e non sostenibile. E descrivono invece una piccola popolazione, resiliente e sviluppatasi per oltre un millennio in equilibrio con un ambiente ostile

L’isola di Pasqua, o Rapa Nui come era conosciuta nella lingua dei nativi, affascina da sempre archeologi, scienziati e curiosi di tutto il mondo. Celebre per i suoi colossali Moai, i faccioni di pietra che costellano il panorama altrimenti brullo dell’isola, e per la storia, a tratti misteriosa, della loro costruzione e della civiltà che li ha realizzati. Attorno alle vicende della popolazione che abitava Rapa Nui, la “grande isola”, all’arrivo dei primi esploratori europei (avvenuto una domenica di Pasqua del 1722), in effetti, si è creata una sorta di faida scientifica. Da un lato c’è la narrazione, ancora dominante, di una società avanzata e prospera che si è autodistrutta ben prima di entrare in contatto con l’occidente “civilizzato”, i suoi vizi e le sue malattie (che hanno di certo contribuito a darle il colpo finale), collassando a causa dello sfruttamento sconsiderato delle poche risorse disponibili sull’isola. E dall’altro, un piccolo ma agguerrito gruppo di archeologi secondo cui, per quanto affascinante e istruttiva, la parabola dell’eco-suicidio degli abitanti di Rapa Nui non è altro che una favola.

Tra i più prolifici scienziati di questo secondo gruppo c’è sicuramente Carl Lipo, Antropologo della Binghamton University di New York, che da anni ormai pubblica studi che puntano a dimostrare che la popolazione dell’isola di Pasqua prima dell’arrivo degli europei fosse in assoluto equilibrio con il proprio ambiente. Nel suo ultimo lavoro, pubblicato di recente su Science Advances, Lipo e il suo team hanno utilizzato immagini satellitari e machine learning per ricostruire l’estensione delle infrastrutture agricole presenti sull’isola di Pasqua nel lontano passato, confermando – una volta di più – che con ogni probabilità erano perfettamente adattate per sostenere una piccola popolazione di qualche migliaio di abitanti, simile quindi per dimensioni a quella trovata dai primi europei all’arrivo sull’isola.

L’eco-suicidio degli abitanti di Rapa Nui

Il più prominente sostenitore del collasso ecologico dell’isola di Pasqua è probabilmente il noto scienziato e divulgatore Jared Diamond, che nel libro del 2005 “Collasso. Come le società scelgono di morire o vivere” ha formulato la teoria dell’ecocidio della società Rapa Nui. La storia sarebbe questa: le circa 2.500 persone che abitavano l’isola all’arrivo dei primi esploratori europei non erano che i rimasugli, in continuo declino, di un popolo ben più avanzato e prospero, che in passato vantava una popolazione di circa 15mila abitanti. All’apice della sua civiltà il popolo Rapa Nui aveva iniziato ad erigere i giganteschi Moai che ancora costellano l’isola, divenendone ossessionato (per ragioni mai ancora chiarite del tutto) al punto da disboscare completamente la piccola isola per reperire il materiale necessario ad erigere e trasportare le statue.

Tra le prove citate da Diamonds ci sono ovviamente il grande numero di Muai presenti sull’isola, che lasciano immaginare la presenza di una grande forza lavoro, e analisi paleoarcheologiche che dimostrano come all’arrivo dei primi colonizzatori provenienti dalla Polinesia (tra il 300 e il 1.200 d.C.) l’isola ospitasse diverse specie di alberi ad alto fusto e almeno sei di uccelli terricoli, tutte estinte all’arrivo dei primi europei. Un mix di esplosione demografica ed eccessivo sfruttamento delle risorse ambientali, cambiamenti climatici e l’ossessione per i Moai e la loro costruzione avrebbero quindi generato un circolo vizioso, che avrebbe portato un po’ alla volta all’estinzione della fauna locale, alla scomparsa di alberi con cui costruire barche da pesca, all’erosione del suolo e alla conseguente riduzione delle capacità agricole.

Una storia scritta nella pietra

Il punto di partenza delle ricerche di Lipo e dei colleghi dell’Università di Bimghamton è che i cambiamenti che hanno interessato l’ambiente dell’isola di Pasqua nell’arco dell’ultimo millennio – innegabili – non devono necessariamente essere stati causa di un collasso nella civiltà dell’isola. È dimostrato, ad esempio, che intorno al 1500 d.C. è avvenuto un cambiamento nell’intensità della el Niño-Oscillazione Meridionale, il fenomeno climatico legato all’alternanza dei periodi di el Niño e la Niña. Le condizioni climatiche sull’isola di Pasqua sono diventate di conseguenza più aride, e questo ha certamente influito sulla flora locale.

Non è detto però che questi cambiamenti ambientali abbiano necessariamente portato al collasso di una civiltà. In uno studio del 2021, Lipo e colleghi avevano proposto un nuovo metodo statistico per valutare come fosse cambiata nei secoli la dimensione della popolazione che abitava l’isola di Pasqua, a partire dalle analisi del radiocabonio e dai dati paleoarcheologici disponibili. Uno studio piuttosto tecnico, che comunque sembrava indicare che la popolazione dell’isola fosse aumentata, lentamente e costantemente, dall’arrivo dei primi colonizzatori fino all’incontro con gli esploratori europei. La scomparsa degli alberi ad alto fusto (soprattutto le palme, che si sospettava rappresentassero una fonte di cibo essenziale per gli abitanti dell’isola) sarebbe quindi stata causata unicamente da fenomeni climatici e naturali, e non avrebbe prodotto un’erosione catastrofica del suolo, anche grazie all’adozione di un nuovo metodo di “pacciamatura litica” (l’utilizzo di sassi di varie dimensioni per proteggere e fertilizzare il terreno coltivato) che avrebbe migliorato notevolmente le loro capacità agricole.

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[–] skariko@feddit.it 1 points 10 months ago (3 children)

Thanks i think this is a great idea.

Since this problem I think is quite common (at least from reading a few threads and comments around) it might be interesting to create a guide especially regarding the part of having lemmy use this/mounted volume instead of the default one.

I in the meantime will try to look around for some information on how this can be done, any advice is definitely welcome.

Thanks!

[–] skariko@feddit.it 1 points 10 months ago (5 children)

Thank you for your answer!

Since I currently use Hetzner the only way to get more space is to upgrade the server (at a not inconsiderable cost).

The alternative might be to purchase SSD block storage volumes which are definitely lower priced (5€ per month for 100GB) however it would be interesting to know if there is a guide for Lemmy for this or if others have had positive experience doing this.

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submitted 10 months ago* (last edited 10 months ago) by skariko@feddit.it to c/lemmy_support@lemmy.ml
 

Hello, I have 160GB to run Lemmy but I saw that as much as 77GB is used by pictrs.

Is there any way to clear the image cache or delete any pictures that are too heavy?

Also 37GB for postgres seems like a lot to me, is there any cache or temporary file that can be cleared?

edit: I am using Lemmy 0.18.5

 

If a moderator disappears and the community remains "uncovered" can an admin somehow change the sidebar and community title?

The only workaround I have found is to create a dummy user, make him a moderator, and then from that user make the changes. It seems a bit of a silly spin though, I think an admin should be able to do this without workarounds.

[–] skariko@feddit.it 2 points 2 years ago (1 children)